venerdì 25 giugno 2004

Sulle aziende italiane e il sistema informativo

Con piacere, segnalo il post che riprende ed approfondisce alcuni aspetti di quanto ho scritto a riguardo dell'aziende e internet. E' di Paolo Valdemarin.
Il ritardo informatico/culturale delle aziende italiane lo vediamo ogni giorno. Credo che in parte sia dovuto alla dimensione medio-piccola della gran parte delle aziende, che quindi non si possono permettere un "reparto IT".
Quando c'è, il "responsabile IT" è talmente preso dal vano tentativo di tenere in piedi una rete di PC obsoleti da aver ben poco tempo per studiare le ultime novità sul web o nella pila di rivistine che si accumula inesorabilmente in un angolo del suo ufficio e che nessuno leggerà mai.
Far funzionare la posta elettronica e far navigare gli utenti (magari limitando un po' l'accesso a certi siti) è già un risultato, chiedere di più è chiedere troppo.
Fino a poco tempo fa le applicazioni che consentivano di incidere sulla produttività, l'efficienza, l'intercomunicazione erano appannaggio di poche grandi aziende di informatica+consulenza, che proponevano i propri servizi solo a chi se li poteva permettere (che in Italia significa: quattro gatti).
La cosa interessante è che oggi molte di queste tecnologie si stanno sviluppando dal basso, con costi estremamente competitivi ed accessibili a quasi tutti. Mi riferisco a tecnologie come i weblog aziendali, i wiki, gli aggregatori tematici (come il nostro). Si parla di centinaia o al massimo di migliaia di Euro per poter disporre delle tecnologie più evolute disponibili sul mercato.
In un certo senzo è un vantaggio che le aziende italiane non abbiano sprecato il proprio denaro negli anni scorsi: come accade in alcuni settori della tecnologia chi arriva tardi può avere il meglio.
Quello che secondo me mancano sono gli evangelisti, i bravi consulenti (non mega-aziende di consulenza, mi riferisco a seri professionisti che sanno di cosa parlano) in grando di portare il verbo nelle aziende, di accompagnarle non solo nella fase di adozione di queste tecnologie ma anche nell'uso quotidiano.
Questi bravi consulenti (che sono a loro volta piccole aziende) dovrebbero impegnarsi a "fare sistema", creare condivisione e distribuzione in tempo reale della conoscenza, in altre parole dovrebbero razzolare bene quanto predicano.
C'è la possibilità di fare un sacco di soldi e di divertirsi molto di più rispetto a vendere qualche antivirus per allineare le aziende all'ultima leggina governativa.

Il problema del mercato è questo: cercare di spiegare che l'informatica non è solo adottare degli standard, ma fare quadrare le cose. Il fatto che molti di questi imprenditori sono rimasti scottati da mega esperti, i guru, non è di aiuto. Le grandi aziende, quelle che dovrebbero fare da volano al sistema, si fanno strapagare per le consulenze, lasciando poi contratti di assistenza a cifre simboliche (un euro per l'assistenza hardware e software su di un PC per un anno!).
L'Italia va a due velocità: da una parte le grandi aziende e la PA che investono (si fa per dire) in tecnologie nuove, ma non sempre innovative. Poi c'è l'altra Italia, quella che sta attenta ai costi. A questa Italia non bastano più le parole "ritorno degli investimenti" e "vantaggi competitivi". Ma purtroppo questa lingua la parlano in pochi. Troppo pochi in Italia e in Europa. Altrimenti non si spiegherebbe la diffusione di prodotti assolutamente mediocri in tutti gli ambiti.
La discussione continua.
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