Ricevo questo messaggio, che giro dritto al blog.
Da tempo assistiamo a un curioso fenomeno. Da un lato il fiorire di master post laurea. Dall'altro una sempre maggior richiesta da parte delle aziende di personale preparato, pronto cioè a essere inmmesso a vari livelli negli ingranaggi produttivi. C'è però un problema. Assodato che la scuola, così comè, non risponde in alcun modo alle necessità del mondo produttivo e si limita a sfornare "soggetti possessori di pezzo di carta variamente inutile"; e gli stessi master, per quanto accreditati e costosi, quasi mai riescono a formare soggetti idonei per il mondo lavorativo; si pone quindi un questito: sono le aziende a chiedere professionalità "spaziali" oppure è il sistema formativo italiano che è sballato? POssibile che domanda e offerta parlino lingue così diverse?
Faccio una proposta anzi, una provocazione. In mancanza di una seria politica di fiscalizzazione della formazione, perchè le aziende non si mettono sul mercato come formatrici? Spiego meglio: quanto valgono gli insegnamenti che le aziende devono impartire a un neoassunto prima che questo diventi in qualche modo produttivo? E non parliamo della farsa degli stage, buoni per sostituzione di maternità o al massimo per coprire le carenze dei servizi interni (segretariato, centralinisti, assistenti ecc.).
Parliamo di una formazione vera, sul campo, in cui l'azienda investe tempo, denaro e altre risorse da cui vorrebbe in qualche modo trarne vantaggio in futuro, O almeno non perderci. La formazione del personale (a qualsiasi livello) non può prescindere da un importante allocazione di tempo e quattrini. Perchè quindi non farsela remunerare? Io azienda o professionista ti formo al lavoro (in modo serio) e tu futuro lavoratore investi nella tua stessa formazione, che non è affatto scritto in nessun manuale o Bibbia che deve necessariamente essere a carico del sistema scolastico. Alzi la mono chi è riuscito a trovare un lavoro che corrispondeva in toto alla laurea che ha conseguito.... Da questo mutuo scambio (anche di denaro) le aziende troveranno in tempoi ragionevioli molto più personale preparato e pronto (salvo pochi aggiustamenti) a entrare nel ciclo produttivo, e i lavoratori avranno maggiori possibilità di trovare impiego qualificato e addirittura di riqualificarsi. Senza lacci e lacciuoli burocratici. Si potrebbe anche pensare a un certificazione.
Il discorso è stato fatto volutamente senza affrontare i diversi comparti, senza declinarlo. Ma, se si valuta nello specifico, applicandolo a settori reali, si può vedere che modifica non solo le dinamiche del mercato del lavoro, ma aprirebbe orizzonti fino a qui ben nascosti. Se poi a livello governativo si studiasse un piano di fiscalizzazione adeguato.