mercoledì 11 maggio 2005

Steve Jobs

Via Wall Street Journal e via Milano Finanza.
La grandiosità del capitalismo democratico americano può essere riassunta in un nome: Steve Jobs. Ciò che l'amministratore delegato della Apple ha regalato al mondo (dai Mac agli iPod) ha decisamente migliorato la vita dei cittadini.
Eppure, il suo genio ha sempre avuto un lato oscuro che si è manifestato ancora una volta. Infuriato per la diffusione nelle librerie di una sua biografia non autorizzata, la settimana scorsa Jobs è ricorso a misure drastiche: ha bandito il libro dai negozi Apple.
Potremmo anche ammettere che sia un suo diritto, ma è stata una mossa saggia? I proprietari dei negozi sono gli azionisti della Apple, non il suo a.d. L'innocuo volumetto avrebbe attirato i clienti nei negozi Apple. Ahimè, Jobs non si è fermato qui. Ha bandito dai "suoi" - negozi anche tutti i libri della casa editrice, la John Wiley & Sons.
Fra questi decine di famosi nerd books (libri per appassionati di informatica), come “Macs for Dummies”, scritto per i clienti della Apple inetti in campo informatico. Questa volta, però, l'inetto è stato Jobs.
La guerra di Jobs contro questo volume biografico fa seguito a un'altra decisione inopportuna, dettata, si potrebbe dire, da un impulso totalitarista. In gennaio, la Apple ha fatto causa a tre blogger accusandoli di avere pubblicato delle informazioni riservate sui prodotti Apple.
Uno di questi è un giovane studente universitario che scriveva pubblicazioni celebrative sul Mac dall'età di 13 anni. Nonostante tutto, l'America ama Steve Jobs. E anche chi scrive, anche se non dovrebbe. Anni fa, Jobs mi telefonò un sabato mattina per cercare di evitare che la rivista che gestivo allora, “Upside”, pubblicasse un articolo sulla NeXT, la sua seconda startup dopo la Apple. La NeXT stava fallendo e il nostra articolo l’avrebbe fatto sapere al mondo.
Al telefono Jobs mi lanciò le minacce più disparate, fra cui quella di “guardarmi le spalle” e quella, alquanto singolare, di “non andare in bicicletta da sola per strade buie”. Pubblicammo Farticolo.
Prima di diventare venture capitalist e finanziatore di Yahoo! e Google, Michael Moritz faceva il giornalista per la rivista “Time” e una volta scrisse un articolo sulla Apple. Jobs cercò in più occasioni di farlo licenziare. Decine di giornalisti potrebbero raccontare vicende simili.
Posso facilmente perdonare Jobs per la sua telefonata, perché grazie a lui la mia vita è cambiata in meglio. Il primo Mac del 1984 era talmente facile da usare e talmente grandioso che permise a me e a milioni di altre persone, di entrare nel mondo dell'informatica.
Qualche anno più tardi il Mac diventò il fondamento di un nuovo settore: il desktop publishing. lo e un mio amico pensammo che avremmo potuto fondare una rivista con un investimento minimo, acquistando solo due Mac e una stampante laser. Così facemmo. Ecco perché oggi lavoro nel settore delle riviste. Grazie, Steve.
Il fatto che Jobs abbia cambiato la mia vita in meglio non è un caso. L'impulso che guida Steve Jobs è quello di migliorare il mondo. Poco dopo avere fatto ritorno alla Apple, nel 1996, Jobs si è servito di inserzioni e manifesti pubblicitari per legare il nome della Apple a eroi rivoluzionari che hanno cambiato il mondo: Mahatma Gandhì, Cesar Chàvez; Rosa Parks, e così via.
Tuttavia, come molti rivoluzionari, Jobs sembra essere una persona che ama il mondo e detesta le persone. È noto per essere stato la causa dell'infelicità di molte persone, e non solo degli scrittori. La sua crudeltà va da attacchi verbali ai suoi stessi clienti a licenziamenti sommari di dipendenti che pare avessero commesso l'errore di portargli la bottiglia d'acqua della marca sbagliata. Per anni ha negato la paternità di una figlia.
In un libro intitolato “Infinite Loop”, l'autore Michael S. Malone parla di come, all'inizio degli anni 70, Jobs abbia persino truffato quello che poi diventò il co-fondatore della Apple, Steve Wozniak. A quel tempo, Jobs era un giovane programmatore freelance per la Atari. Convinse il suo amico d'infanzia, il genio della tecnica Woz, ad aiutarlo a scrivere un gioco chiamato Breakout, dicendogli che si sarebbero divisi il compenso (700 dollari).
Woz, che a quel tempo lavorava per la Hewlett Packard, lavorò notti intere per scrivere Breakout. Fu lui a fare tutto il lavoro. Il suo matrimonio ne risentì. A lavoro ultimato, la Atari pagò a Jobs 7 mila dollari. Jobs si prese il merito per avere scritto il gioco e pagò al suo amico Woz la metà di quanto concordato, 350 dollari. Anni dopo Woz si rese conto dell'inganno leggendo un libro sulla Atari e non poté trattenere le lacrime.
Il genio, l'idealismo, il carisma, il fiuto per gli affari, l'ossessività, la paranoia e la crudeltà racchiusi in personalità come quelle di Steve Jobs e di altri grandi simboli americani come Henry Ford e Howard Hughes si ritrovano anche nei peggiori tiranni del mondo. Il culto della personalità costruita attorno a Lenin e Mao non è molto diverso dal culto che i cosiddetti macolyte, (i fanatici dei prodotti Apple) hanno costruito attorno a Jobs.
Possiamo solo ipotizzare cosa avrebbe potuto diventare il genio bifronte di uno Steve Jobs bambino se un centinaio di anni fa una cicogna l'avesse lasciato cadere in Russia o in Cina. In quale direzione si sarebbero canalizzate le sue energie in un contesto non capitalistico? Supponiamo verso il suo lato oscuro. Portato in California da una cicogna nel 1955, Jobs è eresciuto tra gli alberi da frutto e si è ritrovato nella Silicon Valley, il cuore, dell'imprenditoria dell'America democratica.
Che fortuna per lui e per noi! Questo è il vero genio dell'America: prendere dei potenziali Lenin, mischiarli nel crogiolo del capitalismo e trasformarli in tanti Steve Jobs.

Karlgaard è l’editore della rivista “Forbes” e autore di “Life 2.0” (Crown Business, 2004).
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