giovedì 9 giugno 2005

ICT: situazione italiana

Ci sono in circolazione un sacco di dati sulla situazione dell'ICT, informatione e communication tecnology. Si tratta di ricerche che spesso cadono in contraddizione tra loro, come accade per l'osservatorio Smau e il rapporto Assinform.
Prendo dal sito de Il Sole 24 Ore.
A penalizzare l’informatica in Italia ci sono una serie differenti fattori, quali un tessuto economico-produttivo costituito da troppe piccole e medie imprese e il crollo dei prezzi. Quest’ultimo ha avuto un peso molto forte e si è concentrata nell’hardware, nel software e in servizi, dove negli ultimi due anni le tariffe sono calate di ben il 40 per cento
Il nostro impianto produttivo è costituito da una miriade di piccole e medie imprese con scarsa propensione ad investire in information technology, che oltretutto considerano un costo e non una leva competitiva, ma soprattutto le nostre Pmi non hanno le medesime esigenze di una società americana o tedesca da mille dipendenti e spesso qualche pc, un server, un gestionale, la posta elettronica e un pacchetto di produttività sono sufficienti a sostenere le attività, senza bisogno di impianti it moderni e sofisticati. Quando, beninteso, ne siano dotate. Infatti, secondo Capitani pero la situazione è decisamente negativa.
«Le piccole e medie imprese spendono in It - dice - solo il 18,2% del totale ma sono circa quattro milioni. Questo vuol dire che investano circa 1.500 euro l’anno ciascuna. E abbiamo rilevato che non si tratta di scarsa informatizzazione ma addirittura di assenza di strutture. Inoltre le regole di Basilea 2 avranno sulle Pmi un impatto devastante. Le aziende si devo attrezzare per offrire la trasparenza richiesta dalle norme e solo la tecnologia può garantire l’adempimento. Le aziende hanno una scarsa propensione a innovare e la spesa è stata alimentata soprattutto dal rinnovamento del parco hardware, con una forte tendenza a consolidare i server. Ma soprattutto le imprese hanno varato meno progetti e questo ha ridotto anche il mercato dei software e dei servizi, innescando una gara competitiva tra gli attori del settore che ha come conseguenza la riduzione dei prezzi e dunque del giro d’affari. Le imprese spendo poco e male e solo nei processi, considerano l’it solo una leva efficienziale, un modo per innovare e migliorare i processi e niente di più. Al contrario il segmento consumer è in forte crescita: è estremamente dinamico e la spesa delle famiglie e degli individui in tecnologia è in controtendenza rispetto al trend di riduzione dei consumi. Si sta andando verso una vera digitale home. La tecnologia per la casa sta andando molto più veloce di quella per il business».
Del resto i dati di Assinform parlano chiaro. La tecnologia digitale consumer è cresciuta del 4,4% nel 2004 rispetto al 2003 e ora il giro d’affari è il 4,3% del totale dell’It, oltre ad essere l’unica area capace di esprimere una crescita significativa. In decollo la vendita dei personal computer che segna un incremento del 16,7% a 3,620 milioni di unità. In netta affermazione il notebook, in declino i desktop. In cresciuta i sempre più potenti pc server e i personal del segmento consumer, destinati alla casa e alla multimedialità.
Dal rapporto si evidenzia che l’It in Italia è in affanno: i servizi (9.258 miliardi di fatturato) perdono l’1,2%, il software è stagnante (+0,4%), l’assistenza tecnica è in declino (-3,2%) mentre l’hardware, nonostante la picchiata subita dai listini, mette a segno un piccola crescita pari all’uno per cento.
«L’Italia spiega Capitani – è, sotto il profilo dell’Ict, un paese a più velocità, sia in relazione ai settori industriali sia in relazione al divario territoriale». Le banche si confermano con 4.393 miliardi i big spender dell’information technology. Ma è una spesa - spiega capitani - che si concentra per il 60-70% nella mani di solo pochi grandissimi gruppi. Inoltre il Paese denota grandi differenze tra nord e sud. La spesa It per occupato (805 euro la media nazionale) infatti è simili al Nord Ovest (1.054 euro) e al Centro (925 euro), cala leggermente nel nord Est (784 euro) ma precipita al sud e nelle isole a 4689 euro. La spesa pro capite in It passa dai 550 euro nel Nord Ovest a soli 154 nel Mezzogiorno.

Da un'attenta lettura, ci si rende facilmente conto di quanto ci sia da fare in questo settore, quante occasioni ci sono.
Ma qui facciamo semplicemente dei conti della serva: quattro milioni di imprese, millecinquecento euro di spesa. Poca cosa.
Ma non andiamo a vedere, nello spaccato, dove queste imprese stanno investendo, quindi non riusciamo a comprendere i meccanismi. La legge 196, per cui gli amministratori delle aziende dovranno firmare sulla sicurezza dei dati aziendali, è un ottimo motore per l'ICT. Ci mettiamo pure la crescita portentosa dello storage, delle connessioni a banda larga per le aziende? Se un'azienda ha acuistato i computer nel 2001, probabilmente, anche se lenti, possono tranquillamente funzionare ancora oggi, per cui non vi è investimento in hardware. Vi è, semmmai, un investimento in servizi, spesso a basso costo puntando a server Linux e alla consulenza rabberciata. Si è quindi, secondo me, creata un'Italia che con l'informatica va a due velocità: una che coglie le occasioni per trasformare le aziende e erenderle più competitive, e una che sfrutta l'informatica per strategie di business a breve termine. Le PMI, quasi per definizione, seguono una strategia di breve termine.
Ma mi pare che anche molte gradi aziende d'informatica hanno strategia di breve termine.
I cinesi stessi, con l'abbattimento dei costi di produzione, diciamolo pure che in molti casi, come ad esempio nelle scarpe tanto attuali in questi giorni, la politica è quella del sottocosto per strangolare i mercati mondiali: è un strategia a breve termine, che potrebbe dare risultati eccellenti in futuro. E' una scelta tattica. Nel business ci sta.
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