Tempo fa, in un convegno, avevo parlato di come le informazioni che lasciamo nei social network stiano diventando una base importante per le indagini tributarie.
Non ci credeva nessuno nonostanti portassi casi ecclatanti.
Oggi i giornali parlano tutti di come l'Agenzia delle Entrate visioni anche i social network per carpire informazioni su possibili "contributi" nascosti o non versati.
Il meccanismo è talmente semplice che non merita nemmeno una riga di spiegazione.
Mi meraviglio che i colleghi ci siano arrivato solo ora, se ne parlava oltre un anno fa, ora gli addetti ai lavori lo danno per scontato.
Meno scontata, invece, è la decisione di Facebook di condividere i dati con la Polizia Postale italiana, per il momento unico caso al mondo (o poco più).
La scusa è intervenire celermente nel caso di imbecilli di aprono gruppi o pagine su argomenti o fatti scabrosi.
La paura che siano le prime manovre di censura o comunque di una nuova inquisizione.
Speriamo di sbagliarci, anche perché conoscendo da vicino il lavoro svolto dalla Polizia Postale, l'inquisizione non è nelle possibilità pratiche, viste le magre risorse a disposizione.