Aruba.it è un fornitore di servizi internet che si è sempre contraddistinto per prezzi moderati, o meglio accessibili,e servizi decenti, nel senso che il rapporto qualità prezzo è vantaggioso.
Migliaia di siti italiani sono ospitati nei server di Arezzo, vuoi per convenienza, vuoi per praticità: e non ci sono ovviamente solo i siti di blog da 10 euro all'anno o minisiti aziendali dal 20 euro all'anno.
Ci sono servizi importanti, su server dedicati, anche banche, tanto per capirci.
Ebbene, le prime informazioni parlano di un principio d'incendio che ha bloccato tutta la struttura verso le quattro del mattino (ancora da verificare con certezza, ma i log parlano abbastanza chiaro).
Sono le 7.45 e ancora non è stato riattivato niente. Poco male, visto l'orario, ma se la cosa dovesse perdurare sarebbe un discreto danno per chi, come me, ha dei magazine posti ad Arezzo.
Ma non è il problema.
Il problema è la fragilità della rete che in questi casi si dimostra ancora poco valida come infrastruttura: basta un principio d'incendio per bloccare tutto, basta uno scavatore imprudente per segare il cavo che porta connettività in azienda o in casa.
Cosa possiamo fare? Ben poco allo stato attuale, ma è evidente che non siano sufficienti contratti di fornitura e penali per il cloud computing.
Il discorso è più serio. Tremonti non avrà mai mangiato un bit, ma se arriva la corrente a casa sua lo deve ad un computer e alle informazioni che corrono su internet che scelgono quale dorsale utilizzare per raggiungere la sua centralina elettrica.
Ne vogliamo parlare?
Secondo problema: Aruba ha aperto un account twitter verso le 7 di oggi per informare le persone.
Ci rendiamo conto dell'importanza di un servizio come quello, che ha nel motore di ricerca la sua esperienza d'uso più significativa, in caso di emergenza?
Anche da un danno, perché sono innumerevoli i siti italiani in questo momento irraggiungibili, si possono imparare delle lezioni importanti sul web, sull'economia, sul nostro futuro.