Mi pare un'opera d'arte, soprattutto nel titolo.
Preso direttamente ed integralmente da 01net.
«Un giorno farò l'analisi delle mie agende di questi 4 anni e mezzo di legislatura, per accorgermi di aver passato tanto tempo, troppo, per convegni, seminari, conferenze. Contributi che servono, quando portano idee nuove. Ma una riduzione dei discorsi in contesti pubblici non farebbe male».
L'attacco del discorso tenuto dal ministro dell'Innovazione, Lucio Stanca, al CiscoExpo di Milano ha il sapore del bilancio di una legislatura, passata a parlare, molto, e a fare, meno.
È salito sul palco in chiusura di un convegno organizzato da Cisco sul tema della competitività, coordinato dal direttore del Sole 24Ore, Ferruccio DeBortoli, e a cui hanno partecipato esponenti dell'offerta di tecnologia e utenti istituzionali e imprenditoriali, ben incarnati da Riccardo Illy.
E proprio di competitività ha voluto parlare Stanca, indicandolo come il tema numero uno, per tutti, dando anche delle notizie di prima mano.
Domani sarà reso noto il nuovo indice di competitività mondiale. Una classifica redatta dal Wef, World Economic Forum, sulla base di indicatori economici e attese di sviluppo dei principali attori economici. In questa speciale classifica, ha rivelato Stanca, l'Italia è ancora al 47esimo posto, come l'anno scorso.
«Ma - ha detto con tono ironico - abbiamo superato il Botswana, che l'anno scorso c'era davanti. E con tutto il rispetto per il paese africano, il problema non è evidenziato e risolto da una classifica siffatta». Ricorda Stanca, infatti, che il 60% dell'indice viene costruito sulla base di dichiarazioni, di attese di imprenditori dei rispettivi paesi. Sono 100 quelli che si sono espressi sulla condizione italiana.
Logico, quindi, pensare, che sul piano della competitività gli attori economici non abbiano mostrato un positivo sentore.
Secondo Stanca il problema della competitività è la strutturalità della riduzione del tasso di crescita, iniziata già sin dai primi anni 90.
«L'innovazione tecnologica - ha detto il ministro - è un motore centrale della crescita. L'Italia non si è avvalsa dell'innovazione hi-tech negli anni in cui questa diventava primaria e i tassi di crescita erano ancora accettabili». Insomma, come Paese abbiamo cominciato a perdere terreno proprio quando l'It cresceva.
Poi c'è la globalizzazione. «Quando si parla di globalizzazione si parla sempre e solo di costi. È un discorso monco, limitativo, insufficiente. Bisogna accoppiare i costi ai modelli di business».
Tema ricorrente, quello dei modelli di business, che Stanca cita anche quando si parla di innovazione scientifica, che da sola non regge: quanto si crea e si inventa, secondo il ministro, andrebbe contestualizzato in un modello di inserimento nel tessuto economico, parlando di fattori abilitanti.
È un discorso, quello di Stanca, che sa di bilancio di una legislatura, e, come tale, contiene anche un mea culpa. Non più disposto a ripetere gli errori del passato «qualche anno fa, in un simile contesto, avrei parlato di legge finanziaria. Ora me ne guardo bene», il ministro ammette, con realismo, che si sarebbe potuto fare di più, ma ricorda che è stata anche la prima volta di un concetto di innovazione sposato al cosiddetto sistema Paese, ovvero famiglie più pubblica amministrazione più imprese. E insieme al suo ministero, secondo Stanca, è tutto il Paese che deve fare di più.
Per dare un senso alla politica di innovazione tecnologica nel nostro Paese, quindi, il ministro ha detto di aver iniziato un discorso nuovo, da proseguire nella prossima legislatura, di qualsiasi colore possa essere il governo. Discorso che ha portato a collaborare con altri dicasteri.
Senza mezzi termini, «Straordinario - ha detto - il lavoro fatto con la collega Moratti, per portare l'informatica nell'insegnamento. Pc nelle scuole, agli studenti, banda larga, alfabetizzazione del corpo docente, nuovi contenuti didattici».
E poi la Pubblica Amministrazione: «non dico che la Pa oggi sia diventata un fattore di competitività. La strada è lunga, ma le premesse per trasformarla ci sono. Firma digitale, raccomandata elettronica, sono due esempi di come abbiamo sposato la tecnologia al fattore giuridico. Abbiamo seminato, creato esempi, segnalato best practice. Abbiamo, in sostanza, portato l'It governance nella Pa».
Ma la strada è lunga e necessita di semplificazione, sempre, ha ammesso. Esaltandosi, poi e ripetendo per tre volte la parola “straordinarie”, per indicare le opportunità di risparmio che ha la Pa con il digitale: «Ho calcolato che solo per la Pubblica amministrazione centrale, quindi i ministeri, senza modificare di una riga l'organizzazione, l'introduzione totale della posta elettronica produrrebbe risparmi di 6-8 miliardi di euro all'anno».
E per le imprese? Finanziamenti allo sviluppo, questa la parola chiave. «Oggi - ha ricordato - abbiamo attivi due bandi, per 630 milioni di euro, per le innovazioni di processo e di prodotto, a cui possono concorrere le imprese con un finanziamento rotativo», che significa il 10% a fondo perduto, l'80% a tasso agevolato (0,5%) e il restante 10% a tasso di mercato.
«E prima o poi - ha detto rivolgendosi a Giampio Bracchi - riavremo anche un fondo tecnologico, di 100 milioni di euro per incentivare il finanziamento nelle intraprese tecnologiche».
Il problema di tutto, alla fine, sono sempre le competenze istituzionali, che mancano, la burocrazia, che esiste e domina e il ritardo. Che comincia dalla classe politica, ma arriva sin nelle case delle singole persone.
Un discorso, quello di Stanca, dolce e amaro. Un bilancio, fatto da chi probabilmente sa già che non sarà più il prossimo ministro dell'innovazione e che ha voluto passare un testimone ammonendo il successore sulle determinanti si, economiche, ma anche culturali, del processo di innovazione.