Da anni vado nello scuole a raccontare l'informatica, che non si traduce solo nel parlare dei social, ma per raccontare come la tecnologia possa essere d'aiuto in tante cose e un problema in altre.
Lo faccio tipicamente in due momenti: uno coi ragazzi e uno coi genitori.
Ai primi racconto quali sono le minacce, i rischi, le inconsapevoli conseguenze.
Ai secondi invece parto un po' sorprendendoli, dimostrando che sono dei TTF, totalmente tagliati fuori.
Ai primi spiego la regola unica per la vita digitale: non pubblicare mai qualcosa che non vorresti possano vedere i tuoi genitori, i tuoi cugini (di solito coetanei), i tuoi nonni e i tuoi amici.
Ai secondi cosa fare per districarsi nel mondo dei videogiochi, dei social e cosa andare a cercare.
A entrambe le categorie ho sempre detto che tutto ciò che si pubblica su internet da qualche parte resta per sempre.
E non conta se nasce un nuovo social o diavoleria, il web è il web, la rete ha memoria.
Mi hanno chiesto di commentare i fatti accaduti in questi giorni sia TV sia delle radio, ma ho preferito astenermi.
Il motivo è semplice: chi sono io per spiegare che un comportamento errato porta a delle conseguenze?
Perché spiegare che speculare su un reato porta delle conseguenze?
L'unica cosa che avrei voluto dire, ma non mi è stata data la possibilità e da qui il mio passo indietro dal commentare, è parlare del buon senso, unica regola che dovrebbe guidare chi si occupa di informazione.
L'altra, ma chi mi ha visto in uno di questi incontri la conosce, è il diritto a sbagliare.
Senza gli errori non si crescere.
A questo diritto deve essere riconosciuto il perdono, se vogliamo anche la punizione, ma deve essere concessa la possibilità di rialzarsi e ripartire, riabilitarsi.
Sulle vicende di questi giorni, se proviamo a rileggerle in questa chiave, ci sono delle mancanze.
E non ci sono trasmissioni, articoli, inchieste e post sui social che tengano.