martedì 30 novembre 2010

Diplomazie digitali

Wikileaks è sulla bocca di tutti, sia nel bene, sia nel male.
Premesso che le prime anticipazioni rappresentano più che altro un
gossip, bisogna inquadrare il contesto e poi, volendo, esprimere dei
giudizi.
La diplomazia è un'arte antica, invito coloro che ne hanno
possibilità, a visitare l'Archivio di Stato presso i Frari a Venezia,
giusto per capire di che cosa stiamo parlando.
Leggiamo di ritratti psicologici e di abitudini dei potenti, fatti che
servono poi nelle varie trattative.
Dimentichiamo che i servi, proprio per la diplomazia, diventano
utilissimi per risolvere le contingenze.
Il fatto più grave, a mio avviso, è che erano stati secretate cose che
sono reperibili nei motori di ricerca, informazioni che sono scritte
sui giornali e questo, nel 2010, mi fa sorridere.
Quando ci si presenta ad un colloquio di lavoro, oggi si è già stati
perlustrati nella vita professionale e privata, grazie a "Google" e a
ciò che si scrive nei social network.
Che differenza c'è con i potenti?
La differenza c'è, eccome: hanno vissuto come dei re, tra corte e
privilegi che non andavano messi in piazza, e oggi si scoprono nudi e
vulnerabili.
Wikileaks si fa "pubblicità" proponendoci la sagra dell'ovvio e del
sentito dire, il problema vero è che i documenti veramente segreti e
che riguardano alcune nazioni non sono previsti.
Ecco, questa trasparenza non è da web.
E non è da 2010.

PS I giornalisti sarebbero messi sotto accusa da Wikileaks? Ma
Wikileaks, secondo voi, fa giornalismo d'inchiesta? Se è così, i
colleghi di Report cosa fanno?

martedì 23 novembre 2010

Europa e il bengodi degli americani

Non si è mai capito fino in fondo perché gli americani amino così tanto alzare i prezzi in Europa.
A partire da Apple, che applica un cambio dollaro-euro 1:1 fino a giungere ad Amazon, che ha aperto Amazon.it ma che pratica una politica di prezzo che è del 20-30% più alta di quella, per esempio, di UK.
Non si è mai capito perché gli inglesi abbiano sempre dei prezzi più bassi degli altri paesi (per Apple, non sempre), e non crediamo solo per la lingua.
Mi viene un sospetto: o non sanno fare le proporzioni, oppure ci considerano proprio dei poveretti da spremere, tanto non capiscono.
Amazon.it, tanto atteso, si sta trasformando in un incubo per chi credeva che potesse aprire la strada al rilancio del commercio elettronico.
Io dico che i prezzi di Amazon.it fanno decollare i concorrenti.
Decollare, però, è un termine un po' forte.
La traduzione, poi, sembra degli anni 90: compra in tutti i dipartimenti...
Tanti anni d'attesa buttati al vento, un'occasione davvero sprecata.

Multitasking sull'iPad

Non avrei mai pensato di trovare il multitasking così fondamentale
sull'iPad, eppure, dopo aver installato il 4.2.1 mi sono accorto che
c'è un vantaggio enorme nell'uso.
Non parlo solo di ascoltare Pandora mentre navigo, ma di stoppare un
video per leggere la mail e poi riprendere al volo.
Un passo in avanti concreto per un oggetto che, per definizione ha
fatto una cosa alla volta, un passo in avanti verso le esigenze degli
utenti.
AirPlay, che funziona anche con una AppleTV (che sto provando in
questi giorni) è qualcosa di interessante. Mandare i video o l'audio a
un altro dispositivo veramente al volo e via etere è semplice e
funzionale, sebbene non saprei se questo genere di funzione la si
possa utilizzare molto, visto che l'iPad non produce contenuti (video
e photo), di certo più utile per l'iPhone.
La funzione AirPrint, per stampare dall'iPad non l'ho potuta provare,
visto che funziona solo sulle ultime stampanti HP e questa, comunque,
rimane una limitazione esagerata.
Francamente, in questi mesi non ho mai avuto l'esigenza di dover
stampare dall'iPad, nel caso facevo una foto allo schermo e me la
inviavo via mail... Sarà capitato in tutto tre o quattro volte e
basta.
Ne facevo a meno prima, lo farò tutt'ora!
Inutile dire che la visione dello schermo dell'iPad migliora, nel
senso che è possibile organizzare in cartelle le applicazioni e quindi
tutto diventa più semplice e naturale.
Sul GameCenter non mi sono fatto ancora un'idea precisa dei limiti e
dei vantaggi, mentre di certo la ricerca del testo nella pagina
navigata è un passo in avanti concreto per l'usabilità.

giovedì 18 novembre 2010

MySpace e Facebook: prove tecniche di amicizia

Una conferenza stampa congiunta tra MySpace e Facebook è un evento inatteso.
Sulla rete, non c'è molto su questo genere di iniziativa ma, probabilmente, ci sarebbe su cui riflettere.
I due social network, infatti, per la prima volta depongono le armi per comunicare qualcosa insieme.
Al di là di quello che andranno a dire, è un chiaro esempio di co-ompetition, ossia di cooperazione per competere.
Cose che succedono molto negli USA, non solo nel campo della rete, ma che raramente si vedono in Europa o in Asia.
La Co-ompetizione, infatti, è volta a creare nuove opportunità di mercato, allargare la torta con decisioni prese insieme, poi il più bravo e comunque il mercato deciderà chi è vincente e chi no.
Questo genere di attività, inoltre, segnano spesso un punto di rottura con il passato, per cui sono sostanzialemtne sempre ben viste dai clienti.
Sperando di non aver creato aspettative eccessive, rimaniamo in attesa dell'annuncio.
 
PS magari una compra l'altra, ma visto che c'è un CEO e un VP non darei credibilità alla voce.

martedì 16 novembre 2010

La mail è morta?

Il fatto che Facebook abbia annunciato servizi di messaggistica avanzati ha fatto dire a molti osservatori che la mail è morta.
Siccome sull'offerta di Facebook è piena la rete, non ha molto senso spiegare il tipo di servizio offerto, ma fare qualche considerazione su come si sta evolvendo il mondo della comunicazione.
Non si può prescindere dalla mail, anche quelli di Facebook se ne sono accorti, tanto che permettono di seguire le conversazioni degli stati attraverso la posta elettronica, senza nemmeno entrare nel servizio o su internet.
La posta elettronica si è evoluta, tanto che oggi è normale avere allegati e, a vederci meglio, allegati di grandi dimensioni.
Il bello della posta elettronica è la privacy dei messaggi, ma anche la possibilità di inoltrarli, di inviarli a più utenti e magari farlo in modalità nascosta.
La posta, quindi, è il vero hub delle informazioni personali di ciascuno di noi, lo testimonia il fatto che è l'applicazione per eccellenza sui cellulari.
Poi ci sono i messaggi, siano essi sms, siano essi postati all'interno di servizi vari.
Questi messaggi stanno diventando sempre più importanti e, nel tempo, non si sono mai evoluti particolarmente.
Se ci facciamo caso, Facebook da sempre è attenta a questo meccanismo, in parte portando gli stati degli utenti quasi a SMS evoluti, in parte spostando l'attenzione dalla chat alla messaggistica interna e viceversa a seconda dei bisogni del momento.
Stiamo attraversando, quindi, una fase di cambiamento, nella quale gli SMS non ci bastano più ma al tempo stesso abbiamo bisogno di qualcosa che non sia complicato come la mail.
Ci stanno provando in tanti, FB è solo uno di questi.
Ma lo fa con raziocinio e la forza del marchio e del numero di utenti.
Raziocinio perché non impone un servizio di posta elettronica (anche se fornirà una casella @facebook.com), ma piuttosto pensa a trovare un posto che raccolga i messaggi.
In questo ambito, abbiamo visto come si sono mossi molti client di posta e servizi come Messenger: hub di comunicazione.
Lo fa con i muscoli perché se lo può permettere, ma credo che ci sia anche la consapevolezza di sapere di essere in un terreno minato.
Google, nel frattempo, che aveva avvertito il pericolo, ha iniziato a chiudere i rubineti verso FB, ma è chiaro che le aziende condividono molti clienti.
Una guerra gioverebbe a una delle due?
Comunque la mail è morta, sentivo dire ad un convegno poco tempo fa, spiegando che anche l'email marketing deve cambiare.
Se è morta così, siamo a posto.

lunedì 15 novembre 2010

Paola Caruso e il giornalismo

L'attività del giornalista sta cambiando e Paola, con la sua protesta, ha aperto un dibattito da sempre sepolto.
Sepolto da editori, ma anche dai giornalisti nelle redazioni.
C'è un elemento in questa fase di crisi di questa professione: i giornali non li fanno solo i professionisti e non li fanno solo i collaboratori.
Se non si trova il mix, il prodotto è scadente, in tutti i sensi.
Ma soprattutto senza i collaboratori, che sono precari per definizione, non ci sarebbero i giornali e quindi anche i professionisti assunti diventano precari.
Il discorso di Paola, quindi, è certamente importante ma deve essere ampliato.
E le redazioni devono cambiare per avere un futuro. Nella testa, non solo nel modo di operare.
Il precariato, comunque è fastidioso, le ingiustizie, poi, vanno sempre combattute.
E' un problema di diritti negati, o meglio, di assenza di diritti.
E di tanta, tantissima ipocrisia che circonda la professione.

martedì 9 novembre 2010

Google Search sui Windows Phone 7... e Facebook

Google in questi giorni ha iniziato una discreta campagna contro la concorrenza.
E' partita con la chiusura della lettura dei dati dalle API di Gmail (ma non solo) per Facebook, ossia non è possibile per Facebook leggere i dati "sensibili" delle amicizie e dei contatti di Gmail, come invece è avvenuto in passato.
La scelta è stata motivata dal fatto che Facebook sciacalla i dati di Google ma non è minimamennte disposto a cedere i propri.
Quindi Google ha chiuso i rubinetti.
Sul lato client, invece, ha debuttato ieri il search nel market place di Windows Phone 7, con tutti i vantaggi dell'instant search.
Ovviamente la cosa non è passata inosservata e gli utenti di cellulare, che hanno certamente difficoltà a scrivere le parole da cercare, ne giovano particolarmente delle funzione.
Questo pare essere un primo passo per inserire all'interno di Windows Phone 7 la suite per l'ufficio di Google.
D'altro canto, l'invasione verso l'iPhone sta avvenendo progressivamente, ma non così rapidamente come ci si poteva attendere.
Google, quindi, per la prima volta mostra i muscoli verso la concorrenza con decisione.
Segnale che qualcosa, sul web, sta cambiando.

giovedì 4 novembre 2010

Chris, hai perso la coda allo #iabforum

Ieri c'è stato l'intervento di Chris Anderson allo Iab Forum.
I "sentimenti" raccolti sono contrastanti: da un lato chi adora il personaggio e prende per oro colato ciò che ha detto e dall'altra chi lo ha trovato sopra le righe.
Lo conosco da un po', lo leggo da molto più tempo e devo ammettere che ieri mi ha spiazzato.
Io sono un fan dell'iPad, credo di averne fatti vendere un discreto numero, lo porto sempre con me e difficilmente me ne potrei separare.
Ma non capisco come si possa collegare l'iPad e i servizi Freemium (figurati se non ci metteva la parola free) e la coda lunga dei contenuti.
Cercherò di spiegarmi.
L'idea che l'iPad sia un buon veicolo di contenuti è inequivocabilmente vero, che sia personale, semplice, acceso in un secondo, connesso e versatile, altrettanto.
Detto questo pare altrettanto evidente che le applicazioni non sono la panacea di tutti i contenuti, soprattutto non lo sono assolutamente per la coda lunga.
Senza entrare nel merito del numero certamente finito e limitato di applicazioni che possiamo mettere sull'iPad (diciamo 100?), vengono premiati i contenuti di qualità, certamente, ma è evidentissimo il fatto che contenuti di nicchia faticano ad emergere e trovare posto in una delle pagine dell'interfaccia dell'iPad.
Il web, invece, è molto più semplice, si è guidati dai motori di ricerca nel reperire le informazioni e possiamo utilizzare i pratici bookmark.
Chris probabilmente pensava all'Italia come una nazione in cui internet non è sempre disponibile, soprattutto in mobilità, come qualcuno ci vuol far credere, ma non è così, sebbene tanto ci sia da fare.
La coda lunga dei contenuti su iPad avrebbe senso se mi scarico da casa o in ufficio i contenuti e poi li vedo in giro, sul treno, in tram, al parco.
Ma se ho internet, che me ne faccio di un'applicazione che un'esperienza che è quasi sempre più povera di quella del web?
La tanto osannata Vita Nòva, applicazione legata a Nòva del Sole 24Ore, è un raro esempio di come i contenuti possano essere realmente premium, sebbene ancora free. Non parlo di tecnologia applicata, non parlo della realizzazione, parlo di esperienza d'uso (migliorabile alla stragrande nella tecnica, scimiottatura di cose già viste, ma almeno hanno colto il meglio).
Ma la maggior parte di applicazioni sui contenuti o sono la versione digitale del cartaceo o leggono dei feed rss di informazioni, quindi hanno bisogno del web.
Le applicazioni, nel 90% dei casi quando parliamo di contenuti, perché di quello parlava Anderson, sono ridondanti variazioni di qualcosa che potrebbe prendere maglior vita sul web.
Poi c'è un problema che, parlando ad una platea di pubblicitari e investitori, non andava trascurato: i contenuti freemium si ripagano con la pubblicità, ma oltre al problema degli spazi, vediamo che chi investe oggi nei giornali online (tanto per fare un esempio) sono solo pochi brand, per altro veramente grandi e che sono già big spender.
L'onda lunga si dovrebbe vedere anche nell'advertising, l'onda lunga catturata da Google Adsense e ora da Facebook, invece non se ne parla a sufficienza di come i microinvestimenti possano aiutare i contenuti.
Il fatto è certamente curioso, ma sotto l'occhio di tutti.
Senza essere un guru.
D'altronde, segnali che vanno in un'altra direzione ce ne sono molti e sotto gli occhi di tutti: Adobe che infila Flash sull'iPad e iPhone facendo cambiare idea a Apple (nel senso che Apple si è trovata costretta se non vuole restare in un angolo e venire superata dai Pad Android) oppure lo stato della blogosfera di Technorati.
Il web è morto, recitavano ad agosto. A me sembra più vivo che mai.
Se avessero detto morirà lo potevo capire, anche perché prima o poi capita.
Ma il web mi pare molto in salute.
Tanto che, ma non scriverò per farvi riflettere, qual era il tema di questo Iab Forum? 

martedì 2 novembre 2010

Il fisco e Facebook

Tempo fa, in un convegno, avevo parlato di come le informazioni che lasciamo nei social network stiano diventando una base importante per le indagini tributarie.
Non ci credeva nessuno nonostanti portassi casi ecclatanti.
Oggi i giornali parlano tutti di come l'Agenzia delle Entrate visioni anche i social network per carpire informazioni su possibili "contributi" nascosti o non versati.
Il meccanismo è talmente semplice che non merita nemmeno una riga di spiegazione.
Mi meraviglio che i colleghi ci siano arrivato solo ora, se ne parlava oltre un anno fa, ora gli addetti ai lavori lo danno per scontato.
Meno scontata, invece, è la decisione di Facebook di condividere i dati con la Polizia Postale italiana, per il momento unico caso al mondo (o poco più).
La scusa è intervenire celermente nel caso di imbecilli di aprono gruppi o pagine su argomenti o fatti scabrosi.
La paura che siano le prime manovre di censura o comunque di una nuova inquisizione.
Speriamo di sbagliarci, anche perché conoscendo da vicino il lavoro svolto dalla Polizia Postale, l'inquisizione non è nelle possibilità pratiche, viste le magre risorse a disposizione.