sabato 2 aprile 2005

La Stampa di oggi

Di solito non scrivo nel week-end. Di solito non scrivo di cose che non riguardano la tecnologia.
Ma per motivi personali ho acquistato la Stampa. La figura è degna dell'alba del Manifesto. Alle 20:30 il Cardinale Ruini annuncia la notizia al mondo!
Da conservare!
Qui il testo, preso dal sito del giornale, dell'articolo di fondo di Marcello Sorgi.
Giovanni Paolo II
1978-2005
2 aprile 2005
di Marcello Sorgi
LA scomparsa di Papa Wojtyla coglie la Chiesa in un momento difficile, non diverso da quello che ventisette anni fa portò alla sua elezione e alla nomina, imprevedibile in quel momento, di un pontefice non italiano. La lunga agonia pubblica, questi ultimi giorni, i messaggi disperati e silenziosi dalla finestra a cui il Papa s’era ancora affacciato mercoledì, sono serviti a dare non solo il senso di un Calvario e l’esempio di un sacrificio sconvolgente nella sua intensità. Hanno mostrato anche la grandezza della Chiesa, così sofferente e ripiegata nel dolore del suo sovrano, e insieme la debolezza di fronte alla sua mancanza, e al peso della futura missione del cattolicesimo nel mondo moderno.
Ventisette anni fa, quando Wojtyla spuntò, a sorpresa, davanti ai fedeli raccolti a San Pietro, si capì subito che era stato scelto guardando lontano. «Non abbiate paura», disse il nuovo Papa ai suoi concittadini polacchi in uno dei suoi primi incontri. La Polonia allora custodiva in sé una sintesi unica dei totalitarismi e delle oppressioni che avevano caratterizzato il Novecento: era stata Auschwitz, era diventata il simbolo del capitolo più tragico del nazismo, ed era ancora uno dei satelliti del sistema comunista sovietico che sovrastava metà del mondo. Ma in realtà, come si sarebbe compreso dopo, quello di Wojtyla era un messaggio universale, rivolto all’Oriente ateo delle dittature e all’Occidente laico e secolarizzato del capitalismo e delle società scristianizzate.
Roma e l’Italia politica che aveva (e ha) nel Vaticano un imprescindibile punto di riferimento, e una larga sfera di influenza, certo gli apparvero anguste. Ma non la Roma dei primi cristiani, della sedia di Pietro e della fondazione della Chiesa. Amava Gerusalemme, come dimostrò fin dai suoi primi pellegrinaggi, e perorava una sorta di affratellamento con la religione ebraica. Il misticismo era il suo rifugio, ma di nuovo seppe sorprendere tutti riabilitando Galileo Galilei. Inoltre in lui fortissima, benché sempre negata, era la consapevolezza del suo ruolo politico, che gli creò dei nemici e ne fece un obiettivo per gli avversari.
Infaticabile nella sua missione, instancabile predicatore e fortissimo comunicatore avvezzo all’uso dei media, Giovanni Paolo II non si lasciò fiaccare dall’attentato del 1981, né si rassegnò dopo l’89 della caduta del Muro di Berlino, o dopo la frana, che seguì di lì a poco, di tutto il mondo comunista. Anzi, le sue encicliche più significative, le meditazioni più cupe, le preghiere più sconfortate, accompagnano il passaggio violento da un secolo all’altro, dalla prima alla seconda guerra del Golfo, dall’Intifada al perdono chiesto umilmente - e platealmente - al Muro del Pianto, alla sfida alla mafia stragista dei primi Anni Novanta.
A quel punto, forse, a Giovanni Paolo II, il mondo sembrò irrimediabilmente condannato, rassegnato, perfino abbandonato alla sua rovina; forse il Papa pensò di non farcela, si sentì colpevole come gli altri, come tutti, e l’11 settembre del 2001, l’attentato islamico alle Torri gemelle, con la terribile strage degli innocenti nel nome del terrore e di un altro dio, lo trovò indebolito e tremante, anche se non arreso. «Dobbiamo pensare l’impensabile», così cercò di farsi forza.
Ora che questo straordinario Papa è uscito di scena, molte cose resteranno di lui e della sua fede, a cominciare dall’intima devozione alla Madonna e al timore della volontà divina, celebrato nell’accettazione del terzo mistero di Fatima e del destino doloroso che lo riguardava. Mentre della sua vita terrena rimarrà la vicenda di un uomo che aveva avuto il coraggio di sfidare la storia: «Non morirò del tutto, gran parte di me sfuggirà alla funebre dea», aveva detto una volta, citando un verso splendido, e amaro, delle Odi di Orazio.

Per sicurezza, ho salvato il PDF della pagina, che trovate a questo link.
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